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Un Dio che ti stana e ti spinge fuori; non allo sbaraglio, all’aperto.
L’uomo della Bibbia lo sapeva, gli era stato raccontato e l’aveva appreso: Jahwè non è un Dio come gli altri che ti conferma nelle tue sicurezze e ti coccola nei tuoi vizi. Non è il Dio che dice sempre sì, spesso parla; a volte tace, dolorosamente. E chiede. Chiede finchè non cedi. E il suo chiedere è un modo diverso e più alto di dare.
Fu così fin dall’inizio con Abramo: stava bene, aveva una certa ricchezza, ma non aveva figli e così anche i suoi beni avevano il destino segnato… sarebbero passati ad altri. E lui? Senza benedizione. Perché la benedizione è nei figli; non credeva Abramo che stava avvenendo il miracolo: Dio lo staccava dal suo mondo e lui avrebbe trovato proprio l’insperato: un popolo, una discendenza, un futuro. Lui che credeva di finire nel nulla. Paradossalmente, all’arrivo di un figlio, giunge anche la domanda pazzesca di questo Dio dalle vie impossibili: “ Offrilo!”. C’era un altro modo perché Abramo potesse capire che nulla era suo? Che tutto è di Dio? Che abbiamo solo doni fra le mani, mai proprietà?
Mi piacerebbe chiedere anche a Mosé di quell’attimo in cui Dio con la sua parola lo strappò dalla tenda del suocero Ietro, dai suoi legami, da una vita avviata nel ‘domestico’ e scaraventata poi nella tragedia di un intero popolo. Qualche perplessità iniziale: “sono balbuziente…come parlerò e come potranno capirmi? C’è il faraone, come convincerlo? Qui in fondo se uno lavora, sopporta e tace non è poi così impossibile sopravvivere”. Arrivarono le dieci piaghe come segno: voi partite, alle vostre spalle ci sono io, non siete soli! Ci furono istanti disperati nel cammino verso la libertà; Mosè sentiva addosso la mormorazione della sua gente, perché la libertà non è mai apprezzata all’alba, spesso è mal capita durante il giorno e quasi sempre rimpianta al tramonto. Si era alle prime luci della libertà, l’ora più dura, quella in cui si avverte il risucchio della schiavitù, l’infantile nostalgia dello star peggio. Drammaticamente anche Mosè ha una caduta di tensione e crede che il popolo abbia ragione: gridano contro di me perché ho tolto loro il poco che avevano senza che si veda ancora nulla della promessa di Dio. Camminare, camminare. Ma perché? Verso dove? Con quale certezza? Fino a che prezzo?
Anche il povero Giona sentì come una maledizione quell’invito di Dio:” Alzati, va’ a Ninive, la grande città e annunzia loro…”.Avrebbe preferito il caldo ventre del pesce, ma è messo contro sua voglia sulle strade di una città impossibile. Perchè parlare al vuoto, predicare ai sordi, cercare chi si nasconde …?
Quello che poi capitò ai dodici e ai primi amici di Gesù fu storia da capogiro. Rivoluzione della mente e del cuore: anche i peccatori sono chiamati, ai pagani viene dato lo stesso annuncio che ai figli di Israele, i samaritani sono additati come esempio, le tempeste non devono impaurire, i bambini messi al centro. Capogiro. Delirio quasi. Infatti fu questa la sentenza di morte: “ Ha sovvertito il popolo”. Sovvertire è mettere in subbuglio. Ma per i dodici fu come quando uno si innamora: tutto è alterato, nulla è più al suo posto, si fanno pazzie e sembra la normalità. Tutto è assurdo e tutto è incanto. Gente semplice e poco strutturata che compie stravolgimenti dentro di sé attraverso la compagnia di quel giovane Rabbi di Nazareth: il passaggio dal normale al miracolo, dalle prescrizioni della legge al disegno di Dio, dalla fiducia in se stessi alla fiducia in Dio, dal lasciare al trovare, dal Dio dei miracoli al Dio crocifisso.
Il più delicato dei passaggi fu quello dal chiuso all’aperto. Avevano le loro case, povere sì, ma sicure; avevano la sinagoga dove ritrovarsi, avevano un tempio per pregare. Ora tutto saltava. Addirittura del tempio sentiranno dire:” Non resterà pietra su pietra”. Sì, anche il Tempio aveva mancato il suo bersaglio: doveva servire per preparare un popolo pronto a Jahwè. E invece, vecchia, ancestrale, irriducibile tentazione: l’uomo si era accasato anche lì: del vivere nella Casa di Dio ne aveva fatto un mestiere e un guadagno. Malattia di accasarsi. Quello che a voi pare un sogno e la beatitudine di un sogno è un intralcio, ripete Gesù:” Andate per le strade, non predete nulla con voi…”. Perché capissero la strada col suo fascino, il prodigio del camminare e il miracolo dei volti sempre nuovi…Lui, il Figlio del Dio Altissimo, si fece camminatore. Non volle casa, non volle tempio, non una sede . La strada. Perché la gioia del Vangelo è di tutti, non appena di qualcuno: doveva essere chiaro che ogni creatura è nell’orizzonte di Dio, senza preclusioni, al di là di ogni appartenenza. E non solo quantitativamente portare a tutti il Vangelo, non solo in senso estensivo; non dovevano cadere solo barriere geografiche e razziali perché non sarebbe stata rivoluzione, ma concessione, tolleranza. Si doveva aprire a tutti anche nella qualità, e la strada è l’unica cosa di tutti. Senza la strada non avremmo il vangelo di Zaccheo arrampicato sull’albero o della peccatrice nella fossa della lapidazione; ci saremmo persi la Sua compassione per la vedova di Naim e l’abbraccio col lebbroso, il pianto fiducioso del centurione e la domanda del giovane ricco.
I discepoli non ebbero mai dubbi: avevano visto il loro Signore scendere in profondità e solidarizzare con qualunque tipo umano. Lo avevano visto porsi in fondo alla fila, perché chi si mette solo davanti vede i sani e i forti e non butta l’occhio a quelli che si perdono per via. Fino a quell’ultima sera di compagnia: vedere Lui con la brocca e l’asciugatoio, chino sui suoi piedi, rattrappito come una bestia sui piedi callosi che erano il simbolo di tutte le strade camminate… Come hai potuto amare i nostri piedi?

Strade del Vangelo…

…Strada di Betlemme e dei Magi, di Emmaus e di Cana, di Gerico e del Calvario, tornate a parlarci di quel Dio che ha amato i nostri piedi ridicoli e sporchi, perché, curvo, non sapeva di chi fossero.

 

don Fabio

C’era una volta un presepe...

...di gente e di pietre che raccontava la storia della nascita di Nostro Signore …nel paese dei trulli! Vecchie strade che tornano alla vita, camini anneriti da antica fuliggine che ardono di fuoco nuovo, piazzette dimenticate da tempo che brulicano di personaggi, dimenticate nenie che tornano a cullare i sogni dell’uomo, antichi odori e sapori che mondano i sensi e il cuore! C’era una volta un presepe di gente e di pietre e ci sarà ancora”